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    Social media e Covid-19

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  • Impatto dei social

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  • La pandemia globale Covid-19 ha sconvolto la nostra vita quotidiana più di quanto potessimo immaginare.

    Durante il lockdown a molte persone è stato impedito di vedere i propri cari e amici: questo ha causato un vuoto, perché le interazioni sociali sono fondamentali per gli esseri umani.
    Per riempire questo vuoto, le persone si sono buttate sulle piattaforme social e non ci sorprende affatto notare che il loro consumo sia notevolmente aumentato.
    Nella ricerca svolta da GlobalWebIndex , condotta a maggio in più di 20 Paesi, emerge che il 42% degli utenti passa più tempo su questi canali a causa dell’epidemia, toccando il 54% se parliamo di Gen Z.

    Evadere dall'isolamento

    I social media sono stati creati con lo scopo di far comunicare amici e familiari, indipendentemente dalla distanza, raccontando pubblicamente dettagli della propria quotidianità.
    Con il tempo, si sono evoluti: ora utilizziamo i social media per l’intrattenimento, per aggiornarci su fatti di cronaca e notizie, per cercare dei prodotti da acquistare, trovando un canale di connessione con gli stessi brand.

    In questa pandemia, sono tornati alle origini: connettersi con gli altri.
  • Mitigare il senso di solitudine, come affermano il 57% degli statunitensi e britannici, ma anche per sentirsi meno stressati o ansiosi, come sostiene l’altra metà degli utenti.

  • Indipendentemente dal termine che intendiamo usare, che sia quarantena, isolamento o lockdown, secondo uno studio di Nielsen , rimanere nelle nostre abitazioni ha portato ad un aumento di quasi il 60% delle quantità di contenuti che guardiamo ogni giorno.
    Negli Stati Uniti si tocca un massimo storico di quasi 12 ore al giorno passato dagli americani sulle piattaforme digitali.
    Facebook ha annunciato che in molti paesi colpiti dalla pandemia, sia aumentato in modo significativo il traffico.
    In Italia, in particolare:

  • Da questi dati possiamo capire che con l’isolamento da amici e familiari, la tecnologia diventa un pilastro fondamentale per la connessione umana.

    Anche i contenuti pubblicati sono naturalmente variati: secondo GlobalWebIndex il 48% degli utenti americani e britannici, utilizza i social media per leggere notizie rispetto all’epidemia: questo significa che le piattaforme hanno ora una ancora maggiore responsabilità rispetto alle fake news.





  • Fake news e infodemia

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  • Torniamo indietro nel tempo, ai primi giorni di marzo, quando il Covid inizia a diffondersi nel Nord Italia, in procinto per espandersi in tutta Europa. Questi sono i fatidici giorni in cui vediamo, oltre allo scoppio della pandemia mondiale, anche la nascita di un fenomeno virale, incontrollabile: la diffusione di fake news attraverso i social media ed il web in generale.

    Questa disinformazione condizionerà le opinioni di milioni di persone.

    Vista l’importanza dei social media, aspettano che queste piattaforme forniscano contenuti controllati, in modo da essere di supporto per far fronte all’epidemia e bloccare le famose fake news.
    Sempre più persone affermano di tenersi aggiornati tramite questi canali, in quanto il flusso delle informazioni sul feed è costante e veloce.

  • Ed ecco che i social media si mettono in campo per contenere la diffusione di notizie false costruendo algoritmi appositi come Facebook, o pubblicando linee guida rigorose come quelle di Youtube.

  • Ormai celebre la diatriba tra Donald Trump e Twitter, che ha inviato avvisi sostenendo che i tweet del presidente degli Stati Uniti fossero “inappropriati”.
    La gestione della propagazione delle fake news è complessa, ma nonostante questo i social media continuano ad essere uno spazio vitale per governi, agenzie umanitarie, sanitarie e cittadini.

    Perché crediamo alle notizie false?

    La diffusione delle informazioni con la tecnologia digitale (blog, piattaforme social, chat, testate online…), ha introdotto qualcosa di nuovo: una differente e nuova dipendenza dalle informazioni sociali, che racchiudono una serie di pericoli rispetto a manipolazione e influenza.
    Una ricerca degli studiosi danesi Vincent F Hendricks e Pelle G Hansen, ha definito questo atteggiamento “infostorm”, ovvero una tempesta di informazioni: un flusso improvviso e inaspettato di informazioni per la comunità.

    Ora proviamo a considerare una fake news, trasmessa tramite un social network.

    Quando un contenuto viene condiviso da qualche persona, chiunque successivamente incappi in quel post si chiederà: è una notizia vera o falsa? Posso crederci?
    A sua volta inizierà una ricerca sul web che non è detto che possa trovare risposte veritiere a questo quesito.

    Le infostorm possono essere considerate delle vere e proprie tempeste.

    Secondo una ricerca della Stanford Graduate School of Education i giovani sono predisposti all’uso dei social media, e per questo sono maggiormente ricettivi su quanto trovano lì: hanno, ad esempio, difficoltà nel distinguere gli annunci pubblicitari dalle notizie o a capire da dove provengono le informazioni.

  • Infodemia:s. f. Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.

  • Fermi tutti e riflettiamo: quante volte, in questi mesi, ci siamo sentiti confusi dalle troppe informazioni contrastanti, disorientati nel non capire se la fonte fosse affidabile o meno? Quante volte ci siamo sballottati per la confusione generata da un vero e proprio tsunami di false informazioni?
    Proviamo ad analizzare quello che è accaduto nel mondo dal punto di vista della comunicazione: il nostro Paese è forse stato il più colpito dall’infodemia, che ha confuso maggiormente l’opinione pubblica, mettendo in difficoltà le istituzioni.

    Durante una pandemia, l’ideale è avere una comunicazione in grado di favorire i messaggi, agevolare la comprensione, per limitare i fraintendimenti, trasparente e coerente.

    Questo problema è stato evidenziato anche dall’OMS, che ha dichiarato che la sovrabbondanza di informazioni ha causato ansia ed incertezza di massa.
    Ci basti pensare ai pali del 5g abbattuti nel Regno Unito, quando fu diffusa la notizia di un probabile collegamento con la pandemia in corso, twittata con l’hashtag #5GCoronavirus.
    In questa situazione inaspettata, tutti, leader di stato e organizzazioni sanitarie comprese, hanno dovuto riconoscere l’importanza dei social media per gestire le crisi e diffondere notizie più velocemente ed a un pubblico più ampio, variando quindi il loro stile comunicativo (l'OMS ha aderito anche a TiKTok per questo motivo).





  • La nascita del Groupourcing

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  • In questo periodo di estremo cambiamento, nuovi trend hanno iniziato ad emergere dal web, ed i social media hanno acquisito anche un ruolo importante per la beneficenza e la condivisione sociale. Un fenomeno degno di nota è sicuramente il Groupourcing, termine che deriva dalle parole inglesi "group" e "sourcing" (ricerca).
    Questa tendenza consiste nell’organizzare il supporto a comunità geograficamente vicine, stabilendo una comunicazione tra coloro che hanno bisogno e chi invece vogliono offrirlo.
    A differenza delle associazioni di volontariato, questi gruppi social, presentano una serie di vantaggi: le persone sono già pratiche nell’uso della piattaforma, pensiamo a Facebook, e hanno già a disposizione una rete di conoscenze.

    In questo modo la collaborazione tra gli utenti viene ottimizzata, le comunità possono autogestirsi senza l’ausilio di intermediari, ottenendo migliori risultati in periodo di crisi.

    Numerose le raccolte fondi per le terapie intensive a cui si sono dedicati anche molti vip, come la coppia Chiara Ferragni e Fedez (insieme contano quasi 30 milioni di follower su Instagram), oppure le diverse condivisione dell’hashtag #stayhome, #iorestoacasa.

  • Facebook, piattaforma maggiormente utilizzata per questo scopo, ha sviluppato al suo interno una nuova funzione, che consente al social di funzionare come un sito di micro-volontariato.

    Ma ancor prima che il colosso attivasse questa funzionalità, molti utenti stavano già operando su questa visione condividendo blocchi o restrizioni, dati sulla pandemia e offrendo aiuto per attività come andare a fare la spesa, difficoltosa per alcune categorie.

  • C’è anche qualche svantaggio: ad esempio, la fiducia e l’onestà sono considerati dei fattori chiave, ma qualora questi mancassero, crollerebbe l’intera catena.

  • Un altro aspetto negativo, è la gestione della disinformazione: se questi gruppi non avessero una buona gestione, potrebbero diventare un rapido sistema di diffusione delle fake news.
    In quest’ottica, per il futuro, potrebbe essere opportuno sviluppare delle strategie concrete, di facile comprensione e trasparente per gli utenti, in modo da garantire, nel caso di una crisi ulteriore, che strumenti come il groupourcing ed i social network siano ambienti sicuri, in grado di fornire supporto fin dal primo momento.



  • People impact

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  • Storicamente, durante i periodi di crisi, le persone si sono rivolti ai media per rimanere informati o semplicemente per svagarsi.

    Durante il Covid-19 non è differente: gli utenti si riversano sui social network non solo per visualizzare o ascoltare, ma anche per interagire sull’argomento.

    Twitter ci mostra come da solo ha raggiunto più di 628 milioni di tweets sull’argomento: sotto proponiamo un’analisi rispetto all’hashtag #COVID19, partendo da una sentiment analysis, relazionando i contagi, evidenziando parametri e tweet più popolari, in modo da fornire una valida panoramica del comportamento degli utenti a proposito dell’argomento.

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